Giuseppe, travestito da novizio, si precipita, ebete, verso la sua vocazione… Procede via via più affrettandosi (si lascia camminare) a testa alta, contemplando il cielo.
IL SANTO VOLANTE
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| Giulietta Bandiera | Misteri
Si definiva “fratel Asino” poiché ebbe difficoltà negli studi e venne cacciato dal convento per inettitudine. In Salento, sua terra d’origine, lo chiamavano “ucchipertu” (boccaperta) perché aveva frequenti estasi mistiche, durante le quali perdeva conoscenza e si sollevava in volo per la gioia, attraendo perfino le ire dell’Inquisizione, che lo accusò di abuso della credulità popolare. Eppure oggi questo monachello santo dell’estrema provincia di Lecce è venerato in tutto il mondo, perfino a Cupertino, in California, nel cuore della Silicon Valley, dove hanno sede le più avanzate aziende di alta tecnologia del mondo. Scopriamo perché.
«In ogni tuo affare,
temporale o spirituale che sia,
tu fa' la tua parte
e poi lascia a Dio la parte sua»
(San Giuseppe da Copertino)
Il suo nome era Giuseppe Maria Desa e nacque il 17 giugno 1603 in una stalla (ancora esistente nel suo stato primitivo) di Copertino, una cittadina della provincia di Lecce, all’estremo lembo meridionale della Puglia.
Suo padre, Felice, era fabbricante di carri per conto dei signori locali e sua madre, Franceschina, era una giovane di buona famiglia, la cui cospicua dote permetteva a lei e a suo marito di vivere in un relativo benessere.
Prima della nascita dell’ultimogenito Giuseppe, tuttavia, Felice accettò di fare da garante a un amico, il quale voleva investire quei soldi in un affare, dopo il cui fallimento egli venne denunciato e perdette l’impiego, la casa e di tutto quanto la moglie possedesse, precipitando la famiglia nella più nera miseria.
Felice e Franceschina dovettero trasferirsi dunque in una stalla del loro antico villaggio, dove, di lì a poco, nacque appunto Giuseppe, il sesto dei loro figli.
Non reggendo al dispiacere per quella sorte ingrata, Felice morì però poco tempo dopo, lasciando la moglie a crescere da sola la sua nidiata di pargoli, di cui Giuseppe era l’unico maschio.
A quei tempi in Salento, il lembo di terra più meridionale del tacco italico, ai contadini toccava pagare perfino l’ombra degli alberi e Giuseppe dovette dunque mettersi a lavorare ancora bambino.
GLI STUDI INTERROTTI
A sette anni Giuseppe iniziò la scuola, ma una grave malattia, un’ulcera cancrenosa, lo costrinse ad abbandonarla, tormentandolo per anni.
Dopo un pellegrinaggio al santuario della Madonna delle Grazie a Galatone, dove si recò a quindici anni con sua madre, pare che sia guarito spontaneamente per intercessione della Vergine, alla quale era devotissimo e che soleva chiamare in dialetto «la mamma mia».
Fu da quel momento che cominciò a fantasticare di diventare sacerdote, anche se non disponeva dell’istruzione e tantomeno dei mezzi necessari.
A BOCCAPERTA
Incapace di apprendere il mestiere di carpentiere o di ciabattino (o scarparo, come si diceva da quelle parti), dovette accontentarsi di fare il garzone in un negozio. Tuttavia anche il suo misero salario gli sarebbe stato confiscato con la maggiore età, dal creditore di suo padre, il quale aveva ottenuto dal Supremo Tribunale di Napoli, che l’erede maschio di Felice dovesse lavorare senza paga, fino a saldare il debito del defunto genitore.
Già allora, a causa della sua proverbiale distrazione, i paesani avevano appioppato a Giuseppe l’appellativo di “Ucchipertu” (Boccaperta).
UN SAIO PER SOPRAVVIVERE
A quel punto, l’unica scelta possibile per riuscire a sopravvivere, era per Giuseppe quella di prendere i voti.
Per diventare sacerdote però bisognava studiare, una cosa per la quale Giuseppe non era proprio portato e in più aveva dovuto lasciare subito la scuola, a causa della mancanza di mezzi e di un’ulcera cancrenosa che lo tormentò per cinque anni.
Guarito poi da un eremita di passaggio, che massaggiò con dell’olio la sua ferita prima dei diciassette anni, si rivolse ai frati francescani del convento della ‘Grottella’ a due passi da Copertino, dove un suo zio era stato padre guardiano, affinché lo prendessero fra loro. Non aveva istruzione, ma aveva due braccia per lavorare.
Non era sufficiente. Venne cacciato “per ignoranza” ritrovandosi punto e daccapo dall’oggi al domani.
Ci riprovò con i Francescani Riformati, ma anche questi dopo un po’ lo rifiutarono.
Infine si rivolse Cappuccini di Martina Franca, dove ebbe miglior fortuna. Ma non troppa.
Era l’agosto 1620 quando entrò nel nuovo convento, dove rimase per diversi mesi. Tuttavia la sua sbadataggine era tale, che il giovane Giuseppe non faceva che combinare disastri, provocati talvolta da improvvise estasi, durante le quali si lasciava sfuggire di mano qualsiasi cosa avesse in mano: secchi d’acqua, piatti e altri utensili di cucina, i cui cocci per penitenza venivano appesi ai lembi del suo saio dagli altri monaci.
Venne rispedito a casa proprio all’inizio della primavera del 1821 con la motivazione che non era tagliato né per la vita spirituale, né per i lavori manuali. La sua era un’inettitudine endemica, ma a quei tempi essere cacciato da tre conventi rappresentava un tale disonore, che sia la madre, che lo zio paterno lo rimproverarono e respinsero a loro volta in malo modo.
Fu invece lo zio materno, Giovanni Donato Caputo, che mosso a compassione per quel nipote così sfortunato, riuscì a farlo riprendere dai Conventuali della “Grottella”, raccontando della condanna del Tribunale che lo avrebbe rovinato definitivamente. I monaci, impietositi da quel racconto, decisero dunque di ammetterlo nella loro comunità, prima in qualità di oblato, poi come terziario e infine come fratello laico, addetto ai lavori pesanti e al governo della mula del convento. Qui Giuseppe Desa sarebbe rimasto a vivere per ben diciassette anni.
Giuseppe, travestito da novizio,
si precipita, ebete, verso la sua vocazione…
Procede via via più affrettandosi
(si lascia camminare) a testa alta,
contemplando il cielo.
(Carmelo Bene, da: “A Boccaperta”)
I VOTI SACERDOTALI
Correva l’anno 1925 e Giuseppe aveva compiuto i suoi ventidue anni.
Fu allora che Giuseppe decise sentì il desiderio di diventare sacerdote.
Sebbene fosse semianalfabeta, si applicò agli studi con rinnovato zelo, ma con le solite difficoltà. All’esame per il diaconato davanti il vescovo aprì a caso le Sacre Scritture e gli chiese di commentare il brano: “Benedetto il grembo che ti ha portato”, l’unico che egli fosse provvidenzialmente in grado di spiegare.
Mancavano però ancora tre anni di preparazione per diventare sacerdote e occorreva superare un ultimo e più difficile esame.
A quel punto la fortuna arrise a Giuseppe, poiché gli altri aspiranti postulanti, interrogati prima di lui, conoscevano il programma a menadito e dimostrarono una preparazione tale che il vescovo diede per scontato che anche lui sarebbe stato altrettanto brillante e lo ammise insieme agli altri.
Era il 4 marzo 1628, quando Giuseppe venne dunque ordinato sacerdote per evidente intercessione divina.
GENIO E SREGOLATEZZA
Egli però era ben consapevole dei suoi limiti e per questo definiva sé stesso “fratel Asino”. Oggi forse gli si sarebbe stata imputata chissà quale turpa mentale, per la sua totale mancanza di diplomazia nel relazionarsi agli altri e per la sua incapacità di mettere in ordine nei pensieri, oltre che per la maldestrezza nel maneggiare gli oggetti e tuttavia aveva quella che si chiama la “scienza infusa” e a chi lo interrogava su questioni teologiche, anche fra i suoi contemporanei di alta cultura, era in grado di fornire risposte spontanee tanto sorprendenti quanto illuminanti.
Nonostante la cultura limitata, quando parlava di Dio "aveva tanta fecondia nei discorsi teologici che pareva dotto e intelligente", tanto che un professore dell’Università francescana di san Bonaventura a Roma raccontò: “L’ho sentito parlare così profondamente dei misteri della teologia, che nemmeno i migliori teologi del mondo avrebbero potuto farlo meglio”.
Ad un grande teologo francescano che gli aveva domandato come conciliare lo studio con la semplicità richiesta dal francescanesimo, egli rispose in rima:
“Quando ti metti a studiare o a scrivere ripeti: Signor, tu lo Spirito sei et io la tromba. Ma senza il fiato tuo, nulla rimbomba”.
Convinto di essere “il frate più ignorante dell’Ordine Francescano”, Giuseppe aveva il cuore di un bambino e un grande amore per i poveri, oltre al coraggio di levare la voce contro i soprusi dei potenti.
Anche dopo aver preso i voti sacerdotali e malgrado la sua naturale inettitudine, continuava a fare i lavori più umili, ad aiutare in cucina, a zappare l’orto e a girare il villaggio in cerca di elemosine.
Il suo carattere amabile, anche
se decisamente originale e la sua semplice saggezza inducevano gli abitanti di Copertino a ricorrere a lui in cerca di consiglio e aiuto e lo stesso facevano anche i suoi confratelli del convento.
Il santo Giuseppe,
che si trova nella sua celletta in compagnia di fra’ Ludovico,
riceve la visita di un lebbroso,
di un cieco e di uno storpio,
i quali attendono che un miracolo del protagonista li guarisca.
…C’è tempo quanto basta a che l’impensabile si verifichi.
(Carmelo Bene, da “A Boccaperta”
I VOLI MISTICI
Come molti mistici, dopo le prove fisiche, dovette superare anche quelle spirituali. Ebbe infatti due anni di vuoto spirituale, forse frutto di una depressione, superato il quale tuttavia il fenomeno delle sue estasi si accentuò in modo ancor più prorompente, con frequenti levitazioni. La prima documentazione di un volo mistico venne documentata ufficialmente il 4 ottobre 1630 e si verificò presso il santuario della Madonna della Grottella a Copertino, dove Giovanni si sollevò da terra fino a raggiungere l’altezza del pulpito. Ma tali episodi si ripetevano di frequente durante la celebrazione della messa, alla presenta degli attoniti presenti che ben presto divennero una folla curiosa, che giungeva a Copertino per assistervi, dopo che la fama del “monaco volante” si era diffusa in tutta la zona e oltre. Alcuni durante le estasi giungevano a fare esperimenti per verificarne la veridicità, bruciacchiando la pelle del religioso o infilandogli spilloni nelle carni. Manco a dirlo, egli non avvertiva alcun dolore o fastidio di sorta e continuava a sollevarsi letteralmente da terra per la gioia, non appena sentiva i nomi di Gesù o di Maria, o semplicemente contemplando un’immagine della Madonna e perfino quando si raccoglieva in preghiera solitaria davanti al Tabernacolo.
Ma le estasi e le relative levitazioni potevano verificarsi anche all’aperto: si dice che una volta, volando, il sant’uomo si era andato a posarsi in ginocchio sulla cima di un albero di ulivo, rimanendovi per non meno di mezz’ora. Era in grado di volare nell’aria come un uccello, anche se tutt’oggi gli studiosi non comprendono la natura di tali manifestazioni. Di fatto, essa avvenivano sotto gli occhi stupefatti di tutti i contemporanei.
Anche se guardato talvolta con sospetto e preoccupazione dai profani, nondimeno Giuseppe, lungi dall’essere un mago o un ciarlatano, era semplicemente un santo, i cui poteri provenivano da una fonte spirituale intelligibile per le menti mondane e che, di conseguenza, non si poteva far altro se non contemplare come un mistero.
AL CONFINO
Per distogliere l’attenzione della gente che sempre più numerosa accorreva ad assistere a quei prodigi, i superiori del suo convento furono costretti alla lunga ad allontanare Giuseppe, inviandolo presso vari conventi dell’Italia Centrale.
Di lui si interessò tuttavia l’Inquisizione di Napoli, che lo convocò per verificarne la buona fede in ben due processi. Ma anche nel monastero napoletano di San Gregorio Armeno, davanti ai propri giudici, Giuseppe ebbe un’estasi delle sue, inducendo la Congregazione romana del Santo Uffizio, alla presenza del papa Urbano VIII, ad assolverlo dall’accusa di abuso della credulità popolare.
Al procedimento seguì tuttavia il suo confinamento in diversi conventi-romitori dei frati Cappuccini, in centr’Italia, dove egli trascorse il resto dei suoi giorni sotto stretta sorveglianza del tribunale, catapultato da Roma, ad Assisi, dove rimase dal 1639 al 1653 ricevendo nel 1643 la cittadinanza onoraria. Anche in quella città rivelò doti profetiche, annunciando tre giorni prima dell'evento la morte di papa Urbano VIII e continuò ad avere estasi, a sollevarsi da terra e ad operare miracoli.
Pare addirittura che, come san Francesco, anche Giuseppe avesse la capacità di parlare agli animali e come paragonava sé stesso ad un asino, così era solito identificare a ciascuno all’animale che meglio ne simboleggiava le caratteristiche.
Fu quindi mandato a Pietrarubbia, a Fossombrone (presso Pesaro, dal 1653 all’inizio del 1656) e infine ad Osimo (presso Ancona), dove Papa Alessandro VII gli concesse, nel 1656, di rimanere fino alla morte, che lo colse all’età di sessant’anni, il 18 settembre del 1663.
Giuseppe da Copertino venne beatificato il 24 febbraio 1753 da papa Benedetto XIV e proclamato santo il 16 luglio 1767 da papa Clemente XIII.
Le sue spoglie riposano da allora nella chiesa a lui dedicata ad Osimo, nelle Marche.
Nel 1767 un "Compendio della vita, virtù e miracoli di San Giuseppe di Copertino" venne pubblicato da Domenico Andrea Rossi, Ministro Generale dell’ordine dei Minori Conventuali, a cui Giuseppe apparteneva, per ricordare la vita straordinaria del santo.
PATRONO DI AVIATORI E STUDENTI
È patrono degli aviatori, ma è anche invocato dagli studenti in difficoltà, specie per invocare la sua protezione durante gli esami.
Nel Salento, sua terra d’origine e in special modo a Copertino, sua città natale, il suo culto si celebra il 18 settembre, mentre a Poggiardo, un altro comune della provincia di Lecce, dove venne consacrato sacerdote, la sua memoria si festeggia con una processione nella prima domenica dopo la Pasqua.
CUPERTINO: USA, DOVE SI VOLA ALTISSIMO
Una curiosità è che dal nome della città natale di san Giuseppe Desa prende il nome anche Cupertino, un’importante località californiana nel cuore della Silicon Valley, dove hanno sede alcune tra le più importanti aziende high tech del mondo: prima fra tutte Apple, ma anche Hewlett Packard, Symantec e Sun Microsystems fra le altre.
Ma il santo italiano viene venerato anche dagli stessi aviatori statunitensi, che lo considerano il loro protettore.
SAN GIUSEPPE DA COPERTINO NELLE ARTI
Numerosi artisti che si sono ispirati alla figura di san Giuseppe e alla sua curiosa vicenda di vita, sia nelle arti figurative che nel cinema e nella letteratura. Qualche esempio?
- Il romanzo Fontamara di Ignazio Silone (1933)
- I film: Cronache di un convento di Edward Dmytryk (1962), C'era una volta di Francesco Rosi (1967) Nostra Signora dei Turchi di Carmelo Bene (1968).
- La sceneggiatura cinematografica A boccaperta di Carmelo Bene (1976)
- N. 39 del fumetto Sandman nell'episodio "Terre Soffici" (1991-1997)
- Il documentario San Giuseppe da Copertino di Francesco G. Raganato (2003)
- La serie televisiva I liceali 2 (2009)
- 14° episodio della serie Warehouse 13 (2013).
- La graphic novel: Il divino inciampare. Vita e miracoli di San Giuseppe da Copertino di Miguel Angel Valdivia (2019).