Emiliano Sangiorgi
l’amore ha sempre la A maiuscola nella mia vita perché l’amore sconvolge. Stravolge. Ed è importante viverlo, senza nemmeno analizzarlo troppo… Io non voglio analizzarmi quando amo. Voglio amare e basta
GIULIANO SANGIORGI: RIMETTIAMO L’AMORE AL PRIMO POSTO
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| Giulietta Bandiera | Interviste
Dopo il successo mondiale con i Negramaro, GIULIANO SANGIORNI torna in veste di scrittore al Festival Armonia, per presentare, nella sua terra di Salento, il suo ultimo libro dal titolo “Il tempo di un lento”, in cui affronta il tema di un amore assoluto, capace di creare mondi nuovi.
Nella cornice suggestiva del borgo di Presicce-Acquarica (Lecce), il Festival Armonia, organizzato dalla Libreria Idrusa, in collaborazione con Associazione NarrAzioni di Alessano, ha ospitato quest’anno, come special guest, Giuliano Sangiorgi, una delle voci più belle del panorama musicale italiano, qui nella sua recente veste di scrittore.
Il suo ultimo libro “Il tempo di un lento”, pubblicato da Einaudi nella collana Stile Libero, è un lavoro che lo scrittore Mario Desiati, direttore artistico del Festival, ha definito “un gioiellino” e che è un trittico di racconti che ruotano intorno a tre generi differenti d’amore: l’amore di una coppia di adolescenti, l’amore per la musica e infine l’amore di un padre per il figlio creduto perduto.
Lontano dai concerti da quasi due anni a causa dell’emergenza pandemica, il musicista è tornato volentieri ad incontrare il suo pubblico, che lo ha accolto, anche in questa occasione, con l’entusiasmo di sempre.
Nel guardarlo commuoversi mentre risponde agli applausi, si capisce subito perché ha tanto successo: Giuliano Sangiorgi è un uomo dotato di una naturale empatia e di una rara capacità di condividere le proprie emozioni, oltre che della peculiare umiltà che sempre contraddistingue i veri artisti.
“Ho sempre seguito i festival letterari come lettore – ammette, conversando con le organizzatrici del Festival Michela Santoro e Valeria Bisanti – e sognavo un giorno di stare su un palco come scrittore, anche se non vedo l’ora di tornare negli stadi a fare musica. È quello il mio ambiente naturale e il teatro dei miei sogni fin da quando, dodicenne, indossavo gli occhiali da sole e la bandana, accendevo le luci colorate che si affittavano per le feste e trasformavo la mia stanzetta nel mondo intero, viaggiando lontanissimo con la fantasia e facendo i più bei concerti della mia vita”.
Ben consapevole tuttavia di quanto sia difficile, per una superstar della musica, ottenere, oltre al consenso del pubblico, anche quello della critica letteraria, è il primo a stupirsene: “Un cantautore che scrive un romanzo crea un pregiudizio giusto e sacrosanto – afferma – come lo creerebbe un romanziere che si mettesse a scrivere canzoni, perciò mi fa doppiamente piacere costatare il modo in cui il mio libro è stato accolto”.
Resta da chiarire quale sia stato l’impulso che lo ha spinto di nuovo, dopo un primo approccio alla scrittura, risalente all’ormai lontano 2012, quando pubblicò, sempre con Einaudi, la sua opera prima “Lo spacciatore di carne”, a travalicare lo spazio circoscritto di una canzone, per avventurarsi sul terreno più ampio e periglioso del racconto.
“Già con quel mio primo esperimento letterario – risponde – avevo sentito la necessità di andare oltre la canzone, che mi sembrava un contenitore chiuso, nel quale avevo “solo tre minuti” per dire tutto. Ma grazie all’esperienza di questi ultimi anni mi sono reso conto, invece, che lo spazio di una canzone non è affatto limitato, né limitante, perché in realtà offre una libertà incredibile. La canzone è sintetica, definita e finita, ma diventa infinita attraverso le persone che la ascoltano e che ci aggiungono contenuti propri. Pensiamo soltanto alle grandi canzoni di cantautori come De André, o Dalla, che attraversano il tempo e sono piccoli gioielli infiniti, senza pareti, come diceva “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli. I grandi successi, d’altronde sono così: arrivano, ti sconvolgono e se ne vanno via, diventando di chi li canterà, di chi li riempirà di un proprio senso. A indurmi a scrivere non è stata dunque un’esigenza di libertà, né un diverso intento da quello di emozionare, che perseguo sempre. La differenza fra scrivere un libro e una canzone sta tutta, semmai, nel fatto che il libro mi domanda di spegnere la musica, di rinunciare alle note che aggiungerei ad ogni frase, per accontentarmi delle semplici parole. Le parole però sono importanti, perché con le parole si possono fare cose incredibili, come costruire nuovi mondi e universi paralleli”.
Tornando all’amore che nel suo libro si declina in tempi e dimensioni diverse, Giuliano Sangiorgi è certamente avvezzo al tema, a cui ha dedicato brani indimenticabili. Tiene tuttavia a sottolineare che, per lui, raccontare un qualsiasi amore, è solo un pretesto per raccontare un altro tipo di amore, molto più grande e pervasivo: “Sia nelle mie canzoni, che nella prima parte di questo mio romanzo – spiega – sono partito da un amore a due, per arrivare a parlare di un amore assoluto, che ha a che fare con milioni di persone. Ed è proprio per questo motivo che milioni di persone finiscono per ritrovarsi nell’amore che racconto”.
Non è un caso dunque, che la parola Amore sia scritta sempre con la A maiuscola nel suo romanzo.
“Sì, perché l’amore ha sempre la A maiuscola nella mia vita – conferma l’autore – Perché l’amore sconvolge. Stravolge. Ed è importante viverlo, senza nemmeno analizzarlo troppo… Io non voglio analizzarmi quando amo. Voglio amare e basta”.
Il romanzo “Il tempo di un lento” è nato, per inciso, in un momento cruciale della vita di Giuliano Sangiorgi, mentre egli si trovava a New York, nel 2017 e stava scrivendo per i Negramaro il suo famoso brano “Amore che torni”.
“Ho scritto le prime venti pagine del libro mentre, dall’essere figlio, stavo passando all’essere padre e contemporaneamente a perdere mio padre – ricorda – Perciò la mia narrazione, in questo romanzo, parte dall’amore romantico fra due adolescenti, per finire all’amore assoluto di un anziano genitore che attraversa l’oceano per raggiungere l’America e recuperare un figlio che credeva non ci fosse più. Un amore, quest’ultimo, che io credevo di non poter raccontare con la giusta sensibilità, perché ancora non lo conoscevo, ma a cui mi stavo affacciando proprio in quel momento”.
Poco tempo dopo, infatti, veniva al mondo sua figlia Stella, avuta dalla compagna Ilaria Macchia, a sua volta scrittrice e sceneggiatrice di successo.
“Io però appartengo a una generazione che ha addomesticato questo amore assoluto – conclude Sangiorgi – capace di creare nuova vita. E infatti si arriva a cinquant’anni senza aver ancora fatto figli, come se i figli potessero toglierci qualcosa di nostro. Oggi si punta più che altro all’ambizione personale, agli obiettivi da raggiugere, all’autoreferenzialità. Ma questa è una tendenza che occorre invertire. Io l’ho capito quando, per la prima volta, mia figlia appena nata mi ha guardato negli occhi. Fino a quel momento avevo temuto anch’io le mie responsabilità, ma in quel momento mi sono reso conto che ero soltanto un ospite nella sua vita, una figura di passaggio, come mio padre era stato per me e che questa persona che era nata, era un essere vivente completamente nuovo, con il quale io avevo ben poco a che spartire. Perché lei aveva una propria strada da percorrere, una propria storia da vivere, indipendente dalla mia. Perciò credo che bisognerebbe recuperare questa assolutezza dell’amore e spero un giorno di riuscire a comunicare a mia figlia che amarsi è soltanto libertà. Libertà e niente più”.