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L’Uomo che avete davanti e che celebrate come insegnante e come scrittore è stato un tempo un perfetto cretino
DANIEL PENNAC

DANIEL PENNAC: “EDUCATE I GIOVANI A NON AVERE PAURA”

  • | Giulietta Bandiera | Interviste

Scrittore di fama internazionale e grande maestro di vita, DANIEL PENNAC è stato in Italia di recente, iniziando il suo viaggio dalla fine, ovvero dal capo di Santa Maria di Leuca, dove la terra finisce e inizia il mare aperto. È qui che lo abbiamo incontrato per voi in questa intervista.

Il Salento è una striscia di terra, all’estremità meridionale della Puglia, sospesa fra due mari, lo Jonio e l’Adriatico, spazzata da venti insistenti e immersa in una luce dorata.

Da queste parti, il posto più estremo di tutti è il capo di Santa Maria di Leuca de Finibus Terrae, il luogo dove la terra finisce e inizia il mare aperto, ma forse anche il cielo, a giudicare da un’antica leggenda che vuole che, da questo luogo, chi non passa da vivo, dovrà per forza passare in spirito prima di entrare in paradiso.

E fino a qui che si è spinto, qualche giorno fa, Daniel Pennac, il grande scrittore francese di origine corsa, nato nel 1944 e considerato oggi una delle penne più brillanti d’Europa.

Ospite di “Aspettando Armonia”, un’iniziativa dell’Associazione Culturale NarraZioni e della Libreria Idrusa di Alessano (Le), Pennac ha accettato di incontrare il pubblico che, anche qui, come altrove, lo segue con appassionata dedizione, per la sua lunga esperienza di insegnante, ma soprattutto per i suoi numerosi best seller.

Fra questi ultimi non possiamo non ricordare, ad esempio, la serie di Belleville, che ha reso celebre il personaggio di Benjamin Malaussène e la sua variopinta famiglia, ma anche tanti altri libri, editi in Italia da Feltrinelli, da “Come un romanzo” (1992), a “Diario di scuola” (2008), da “Storia di un corpo”(2012), fino alle ultime uscite: "Mio fratello" (2018) e "La legge del sognatore" (2020).

Incontrando il pubblico salentino, l’autore esordisce con la consueta ironia: “L’Uomo che avete davanti – dice - e che celebrate come insegnante e come scrittore è stato un tempo un perfetto cretino”.

Questo infatti – confessa Pennac – è ciò i suoi insegnanti al liceo gli avevano ripetuto con insistenza, quando egli faceva parte di una classe di ripetenti e non prometteva niente di buono.

“Convinto di non avere alcun futuro davanti a me – aggiunge – non ho trovato di meglio che rifugiarmi molto presto nella lettura dei libri, finendo coll’affezionarmi alla lingua e alla grammatica francese e più tardi col provare il desiderio di condividere quanto da quei libri avevo appreso”.

Quindi tutto sommato dovrebbe essere grato ai suoi cattivi insegnanti…

PENNAC: “Probabilmente sì, perché, nella loro stupidità pedagogica, mi hanno mostrato in realtà che cosa non volevo diventare”.

Lei in effetti è diventato un insegnante ben diverso per i suoi allievi e un vero alleato della loro crescita, anche come scrittore. In virtù di questa sua esperienza, qual è secondo lei il messaggio più importante da trasmettere ai giovani in questi nostri tempi così difficili?

PENNAC: “La cosa importante è risvegliare in loro la curiosità e il bisogno fondamentale di apprendere. Parlo di bisogno e non di desiderio, poiché la società dei consumi, non fa che sollecitare i desideri dei ragazzi, tanto da averli trasformati in clienti. È così che funziona la società del consumo: ti fa desiderare sempre cose nuove, un nuovo modello di cellulare, un nuovo giochino elettronico e così via. Invece gli insegnanti non vendono nulla: la matematica non è una merce e nemmeno la storia o la letteratura sono merci, ma sono questi gli insegnamenti che faranno di quei giovani gli adulti di domani”.

Ma in concreto come si fa a trovare un antidoto per neutralizzare l’influenza che la società consumistica ha sui minori e su tutti noi?

PENNAC: “L’antidoto è risvegliare in ciascuno la certezza di poter diventare un creatore, come fece un tempo con me un mio professore di matematica.

In seconda liceo avevo sempre zero in matematica ed ero, come molti dei miei compagni, un totale imbecille in quella materia.

Il primo giorno dell’anno scolastico, però, era entrato in classe nostra un professore nuovo, con una vocetta stridula e, siccome facevo parte di una classe di banditi, uno peggio dell’altro, già espulsi da diverse scuole prima di quella, davanti a quest’omino ovale, con quella voce ridicola, abbiamo reagito con la consueta crudeltà degli adolescenti, mettendolo subito alla berlina.

Lui tuttavia era andato tranquillamente alla lavagna e ci ha scritto sopra con un gessetto il numero 12. Quindi si è girato verso di noi e ha domandato: - Allora ragazzi, che cosa ho appena scritto alla lavagna? -

A quel punto i trenta cretini che stavano di fronte a lui hanno cominciato a fare battute del tipo: le dodici dita delle mani, i dodici comandamenti e così via, con l’espressione tipica degli asini soddisfatti di sé stessi.

Ma il professore, senza perdere la calma, aveva detto: - Niente affatto. Questo è il voto minimo che prenderete alla maturità -.

A quell’affermazione, tutti eravamo scoppiati in risate scomposte: - E come facciamo – abbiamo risposto - se prendiamo sempre zero? Impossibile! -

- Invece io vi dico che questo sarà il vostro voto - aveva ribadito il professore - ma ad una sola condizione… -

- E quale? – avevamo chiesto.

- A condizione che la smettiate di avere paura – aveva risposto lui.

A quel punto sulla classe era sceso il silenzio. Soltanto uno dei miei compagni aveva osato schernirsi: - Ma quale paura?! -

L’insegnate allora lo aveva guardato fisso e aveva risposto: - Il tono con cui ti rivolgi a me sembra un tono virile all’apparenza, ma non lo è affatto. Anzi. È precisamente il tono della paura. La paura che provi per la matematica. Ed hai così tanta paura di essere un disastro in matematica, che hai deciso che non progredirai mai in questa materia. Invece, io ti dico che farò di te un piccolo matematico! -

A quel punto il ragazzino aveva scosso la testa.

- Non credo proprio – aveva detto - perché io non so veramente niente.

Il professore allora gli aveva domandato: - Lo sai quanto fa 2 più 2?

- Quattro. E allora – aveva risposto l’allievo chiudendosi nelle spalle.

- Ebbene, non darlo per scontato – aveva detto il professore - Perché sapere che 2 più 2 fa 4 è una conoscenza immensa! –

Era stato in quel modo, che ben presto l’insegnante ci aveva fatti entrare nella teoria dei numeri, incuriosire sulla matematica e infine farci arrivare a prendere 12 su 20 alla maturità, proprio come aveva detto.

Come aveva fatto? Semplice: aveva fatto appello alla nostra attitudine naturale alla creatività.

La lezione sulla paura è bellissima. Se i nostri professori di un tempo ci avessero insegnato a non avere paura, forse il mondo sarebbe molto diverso da com’è.

PENNAC: I peggiori allievi sono prima di tutto individui che hanno paura, soprattutto di essere giudicati male. E siccome hanno questa paura, spesso fanno stupidaggini, o diventano violenti fisicamente, per dare l’impressione di essere invece coraggiosi.

Ecco perché fin da bambini, occorre trovare qualcuno che faccia di noi dei piccoli creatori. In questo modo possiamo guarire dalle nostre paure.

Spesso però chi è chiamato a educare, ha a sua volta paura.

Certamente, prima di tutto la paura di non essere rispettato.

Di fatto ci sono un mucchio di adulti per niente rispettabili. E qualcuno di essi diventa perfino presidente della repubblica, perché coloro che fanno la scelta della violenza mentale, sovente finiscono al potere, ecco perché il mondo è ridotto così.

Viceversa, il buon educatore è in grado di convertire questo potenziale violento, trasformandolo in comprensione umana. Ed è questo il succo del nostro lavoro di adulti e di insegnanti di chi ci succederà. Umanizzare l’umanità.

 

(Intervista del 23 giugno 2021)